LA MUTEVOLEZZA DELL’IDEALE DI BELLEZZA. Vale davvero la pena rincorrerlo?

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In ogni cultura e periodo storico regna uno specifico ideale di bellezza che condiziona la percezione del corpo e genera una serie di convinzioni sull’immagine estetica. 

 

Lars FR. H. Svendsen nel suo saggio “Filosofia della Moda” analizza come la percezione del corpo incida sugli ideali estetici e sul concetto stesso di bellezza, generando comportamenti volti al raggiungimento di un ideale illusorio.

 

Il corpo e l’identità personale 

Il corpo e l’identità personale, secondo il filosofo norvegese, sono strettamente correlati soprattutto se prendiamo in esame l’età post moderna. Il corpo, nella sua fisicità, diventa centrale nel processo di comprensione del proprio io. L’affermazione di questo nuovo modo di percepire la propria fisicità è ben spiegata anche da alcune pratiche, come la dieta, ad esempio, che per la prima volta solo in epoca vittoriana, viene concepita come un percorso finalizzato al raggiungimento di un ideale estetico. Nel medioevo la dieta era legata esclusivamente alla purificazione religiosa, che vuole una prevalenza dello spirito sulla carne, e, andando ancora indietro, nella cultura ellenica, il digiuno era indice di forza e autocontrollo. 

Solo in epoca tardo vittoriana si riduce il cibo per avere un corpo magro. In questa fase il grasso inizia ad essere percepito come indice di pigrizia e carenza di volontà. 

Il corpo inizia ad essere l’oggetto principale della moda. Se prima l’abito serviva per proteggersi, coprirsi, celebrare un evento religioso, è qui che comincia a gravitare intorno al corpo e alle sue caratteristiche. 

Tutto questo ha inizio dalla consapevolezza che il corpo è la nostra identità e l’abito che lo avvolge è quanto di più vicino e intimo ci sia ad un corpo. Per questo l’abbigliamento è importante.

 

Nel momento in cui si sancisce il legame tra abito e corpo si comprende anche la capacità dell’abbigliamento di adattarsi al corpo, al punto da farlo apparire migliore secondo il gusto e l’ideale di bellezza. Fu Baudelaire ad affermare che “la moda è sintomo della tendenza umana ad avvicinarsi all’ideale attraverso il superamento del dato naturale”. 

 

Già all’epoca era chiaro come l’immagine potesse essere modificata da un abbigliamento più o meno adatto alle sue caratteristiche, capace dunque di valorizzare, di rendere l’immagine più vicina alla persona e più apprezzata in primo luogo da se stessi. 

 

Al ruolo dell’abbigliamento si uniscono altre forme di decorazione del corpo che hanno avuto nel corso delle epoche il compito di decorare l’identità personale: trucco, tatuaggi, fino ad arrivare all’estremo della chirurgia estetica. 

 

Ogni periodo storico ha dettato le regole dell’immagine ideale, dalle funzioni religiosi a quelle prettamente estetiche o di ruolo. Quello che da sempre è possibile registrare è la capacità della moda di spingere le persone verso azioni apparente libere ma in realtà orientate ad aderire a un modello imposto, declamato in ogni dove e in ogni quando. 

 

É il pensiero di Baudrillard a centrare un punto fondamentale sui livelli di consapevolezza legati all’immagine. Il filosofo francese, infatti, per primo racchiude nella categoria di “schiavitù volontarie” tutte quelle attività apparentemente scelte con libertà, ma in realtà figlie di un condizionamento sociale potentissimo che mira a far sentire il corpo, soprattutto di una donna, perennemente inadeguato. 

 

Filosofi, sociologi, psicologi, da anni studiano l’ideale di bellezza, per giungere alla conclusione che si tratta di un qualcosa continuamente sottoposto al cambiamento.

Se entriamo nell’ordine di idee che a nessuno piace quello che piace a qualcun altro e che bisogna piacere per primi a se stessi, forse ci si salva ancora dal pesante peso del condizionamento sociale e ci si concentra a lavorare su un’immagine di sè coerente con i propri valori e capace di far splendere la luce di ciascuno.