IL POTERE COMUNICATIVO DELLA DIVISA NEGLI STORE ZARA

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Sul tema della divisa si possono aprire discorsi infiniti, oggi vorrei soffermarmi su un caso interessante: le divise degli assistenti alla vendita presso i negozi Zara.

 

Come in molti sanno, il brand spagnolo, rientra nella cosiddetta categoria fast fashion caratterizzata da una certa accessibilità del capo desiderato, soprattutto in termini economici. Questa accessibilità si traduce anche in una certa facilità e velocità nel reperimento fisico degli indumenti. I negozi Zara presentano infatti numerosi espositori a vista in cui i clienti possono vedere e provare i capi senza un necessario intervento dei commessi.

 

Tuttavia una particolarità distingue Zara dagli altri brand di fast fashion: gli assistenti di vendita indossano la divisa.

 

Si tratta di un caso piuttosto singolare per la categoria. E’ noto infatti che l’utilizzo della divisa sia più diffuso per gli shop assistant di alta moda, dove di fatto in negozio c’è una maggiore intermediazione dei commessi che entrano in contatto diretto con i clienti, dall’accoglienza in negozio, alla scelta del capo, fino all’acquisto. 

Come mai un brand fast fashion decide di adottare la divisa?

Le motivazioni possono essere molteplici a partire dal fatto che la divisa stessa ha molteplici significati e funzioni.

 

Oltre al suo insostituibile ruolo di elemento identitario in grado di veicolare i valori e la visione del brand, la divisa ha un impatto diretto su chi la indossa, sulla sua percezione di sé e sul suo comportamento. 

 

Il potere dell’ Enclothed Cognition

 

A supporto di tale considerazione possiamo citare l’esperimento Enclothed Cognition di Hajo Adam e Adam Galinsky sull’effetto dell’abbigliamento sui processi cognitivi.

I due ricercatori della Northwestern University in Illinois hanno voluto dimostrare come l’abbigliamento influenzi le persone. A loro si deve la definizione di Enclothed cognition, letteralmente, la cognizione indossata. Per lo studio sono stati scelti due gruppi di studenti, a entrambi i gruppi è stato chiesto di indossare un camice bianco: a un gruppo è stato detto di essere “dottori”, agli altri “pittori”. Ebbene le performance di chi si percepiva dottore sono risultate più alte di quelle dei pittori. 

 

La questione è molto più semplice di quel che sembra: quel che indossiamo ci aiuta a sentirci in un certo modo.

Questo accade perché, come i ricercatori e psicologi insegnano, entra in gioco il valore simbolico dell’abbigliamento. Il significato che un capo veicola, si trasferisce in primo luogo sulla persona che lo indossa. Può essere utile ricordare anche la ricerca condotta da un’audace docente universitaria di Hertfordshire che ha ricavato una dimostrazione molto esemplare con le t-shirt di superman

 

La professoressa Karen Pine ha sottoposto i suoi studenti ad un simpatico esperimento, facendo indossare ad alcuni di loro maglia di superman ad altri una t-shirt anonima. Ebbene chi indossava quella del supereroe non ha tardato a manifestare dei comportamenti particolari, ottenendo dei risultati migliori nelle performance delle sfide con i compagni con maglia anonima e confessando di sentirsi “più capaci”.

 

Questi esperimenti sanciscono i primi studi di una lunga serie, volti a sostenere che l’adozione di un certo tipo di abbigliamento attiva dei comportamenti specifici influenzati inconsciamente dal significato che si attribuisce a ciò che si indossa.

Nel momento in cui indossiamo un capo infatti si attivano nella nostra memoria delle associazioni tra qual capo e i suoi possibili significati che agiscono direttamente sulla percezione della nostra identità. Questo processo è stato definito Priming.

 

La divisa per il fashion fast

 

Tornando a Zara, con ogni probabilità, è possibile che alla base della scelta della divisa per un brand fast fashion ci sia la volontà di agire sulla percezione di sé degli assistenti alla vendita, il cui compito non è certo meno nobile di quello dei colleghi di brand più illustri. 

Ma non si esaurisce qui il compito della divisa: così come eleva la percezione del proprio ruolo nei venditori, eleva anche il brand attraverso l’adozione di modalità affini a quelle dell’alta moda.

A un occhio attento non sfugge la scelta del colore, il nero che sancisce una presenza minimalista, quasi sfuggente, come a voler dire che l’assistente c’è, ma non invade troppo lo spazio del cliente e la sua autonomia nella scelta dei capi. 

 

Zara rappresenta un esempio semplice e lineare del ruolo della divisa in termini di percezione di chi la indossa.

Questo aspetto messo in risalto da studiosi contemporanei non era certo sfuggito a chi si è occupato della moda come fenomeno sociale. L’economista e sociologo Veblen, già alla fine dell’800, aveva messo in risalto l’abbigliamento come strumento per veicolare un messaggio chiaro relativo allo status, legato dunque alle possibilità di consumo. L’abbigliamento dunque inizia a rappresentare l’aumento delle possibilità di acquisto, diretta conseguenza dell’avanzamento di status. 

É qui che il valore di un bene inizia ad essere legato alla sua capacità di veicolare uno status o di emularlo laddove non lo si possegga realmente. 

 

Tornando al presente e all’esempio di Zara, è interessante notare come la divisa mantenga il suo ruolo di canale di comunicazione tra l’azienda e le persone e come sia importante che questo valore abbia oltrepassato i confini dell’alta moda.