Gli outfit del dolore

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Qualche giorno fa guardando il telegiornale, in questa ondata di tragedie femminili in cui si alternano stupri, femminicidi e maltrattamenti, ho visto un servizio in cui venivano riproposti i capi di abbigliamento indossati da donne vittime di stupro al momento della violenza.

Neanche a dirlo quello che è venuto fuori: abbigliamento ordinario, capi indossati nell’illusione di poter esprimere il proprio gusto nel vestire senza essere oggetto in primo luogo di simili brutalità e poi preda dei commenti di chi crede che davvero una minigonna con uno stupro c’entri qualcosa.

I capi d’abbigliamento in questione sono stati donati dalle vittime di stupro per dimostrare quanto poco siano legati all’atto tragico di cui sono vittime.

Spero sia ormai chiaro e inscalfibile che i capi d’abbigliamento sexy, indossati per esprimere anche quella parte della nostra personalità, non hanno alcuna responsabilità in fatto di stupri o di violenze di ogni tipo sulle donne.

Un capo d’abbigliamento può comunicare molte cose, sicurezza, autorevolezza, sensualità, semplicità, ma c’è una cosa che di sicuro deve poter comunicare: le donne non si toccano. Trovo scandaloso, e anche molto deprimente, che si ragioni ancora in questi termini, trovo fuori luogo, e al di fuori di ogni umanità soffermarsi su ciò che la vittima di una stupro ha indossato.

Donne di qualunque età, nei fatti di cronaca ormai sempre più frequenti, si vanno ad aggiungere al numero già scandalosamente alto di vittime di stupro ogni anno e ci sono uomini che giustificano la loro totale assenza di rispetto e la loro indole brutale e criminale con la capacità di suscitare pensieri e desideri sessuali attraverso capi d’abbigliamento che lasciano intravedere alcune parti del corpo.

Seguendo la totale follia di un simile ragionamento che cosa possiamo dire? Che uno stupro in spiaggia è stato determinato dalla vittima in bikini ed è quindi meno condannabile di uno stupro in città in pieno inverno? O forse, analizzando i casi di violenza domestica, stupro incluso, possiamo affermare che una donna in tuta o in pigiama, sia meno esposta di una che osa prendere la metropolitana di sera in minigonna?

Sapete che vi dico? Che sarebbe tutto molto più prevedibile, se questa fosse la logica. Terribile, ma prevedibile. E invece le dinamiche di uno stupro seguono bel altre “logiche” che non vanno rintracciate nei vestiti indossati dalle vittime, bensì nelle menti folgorate e criminali degli stupratori che non hanno alcun autocontrollo e nessuna forma di rispetto nei confronti di donne alle quali scelgono in piena consapevolezza di fare del male.

Ogni donna deve poter essere libera di indossare ciò che più la fa sentire a proprio agio, senza avere il terrore di circolare per strada.

Ogni donna deve poter vivere la LIBERTA’ di sentirsi protetta nei capi che sceglie di indossare come seconda pelle e, soprattutto, non deve essere giudicata per quella seconda pelle se ha la tragica sfortuna di incrociare sul proprio cammino un uomo che in un istante cambierà la sua vita per sempre…distruggendola.

Giù le mani dalle donne, non osate privarle di quei vestiti che, coprenti o leggeri che siano, conservano integra la loro dignità.